PrestipinoIl Master universitario in “Analisi, prevenzione e contrasto della criminalità organizzata e della corruzione” (APC), con il patrocinio della Prefettura di Pisa, ha organizzato il 27 marzo 2015 una lectio magistralis del dott. Michele Prestipino, procuratore aggiunto presso la Procura di Roma. Il seminario ha avuto come tema “La mafia, le mafie, le nuove mafie: metodo mafioso e modelli di espansione“, e si è svolto presso la sala Convegni della Prefettura di Pisa. Il dott. Michele Prestipino, già in servizio presso le procure di Palermo e Reggio Calabria, si è occupato di recente dell’inchiesta “Mondo di Mezzo”, che ha svelato un perverso intreccio tra politica e mafie che soffocava la città di Roma.

In un’aula gremita, il pubblico ministero ha tenuto la lezione in quanto «testimone privilegiato» di un momento storico di cambiamento del fenomeno mafioso. Il professor Alberto Vannucci, politologo e direttore del Master APC, ha sottolineato lo «straordinario interesse, per chi studia i fenomeni della criminalità organizzata e della corruzione, per l’inchiesta Mondo di Mezzo, perché rappresenta quasi un modello ideal-tipo della simbiosi perfetta che si può creare tra questi due fenomeni, in cui la rete di corruzione è talmente radicata sul territorio, talmente efficiente, che può dotarsi di una propria organizzazione criminale di supporto

Non è certo nuova la presenza mafiosa nella Capitale. Già negli anni Settanta si riscontrarono cellule, non solo di Cosa Nostra, ma anche della camorra, come confermato dalle parole del collaboratore di giustizia Pasquale Galasso, che mise in luce il ruolo di protezione fondamentale svolto dagli ambienti politici romani. Oggi ciò che rende peculiare il contesto è l’assenza di un’organizzazione predominante, poiché il territorio vede la presenza di diverse strutture legate ad altre, proiezioni delle mafie tradizionali. Ma a queste poi si devono aggiungere anche gruppi mafiosi completamente autoctoni.

Prestipino ha ricordato la sentenza della Cassazione del 5 Giugno 2014, cioè la prima che riconosce, con il crisma del giudicato, la presenza della mafia al nord. «È stata una sentenza fondamentale -ha commentato il Procuratore– sia a livello processuale, perché evita che si debba dimostrare in ogni singolo processo che la ‘ndrangheta al nord esiste; sia a livello culturale, perché si mette fine al falso mito che la ‘ndrangheta lì non è mai arrivata, quando ormai si parla di un fenomeno di colonizzazione. Questa sentenza afferma per la prima volta in Italia una serie di principi sulla natura, sulla struttura, sull’espansione della ‘ndrangheta al nord».

Durante tutta la loro storia, le mafie hanno comunicato e imparato le une dalle altre, ed è per questo motivo che «bisogna capire l’evoluzione delle organizzazioni criminali e soprattutto conoscerne il linguaggio comune», ha spiegato Prestipino. «Quando Carminati racconta cos’è mafia capitale cosa dice? “È la teoria del mondo di mezzo, ci stanno i vivi sopra e i morti sotto, noi stiamo nel mezzo, vuol dire che ci sta un mondo in mezzo in cui tutti si incontrano, si incontrano tutti là nel mezzo, anche la persona che sta nel sopra-mondo ha interesse che la persona del sotto-mondo gli faccia qualcosa che lui non può fare”…queste sono le mafie, questo è il linguaggio”. Anche sulla corruzione, «Alberto Vannucci ne parla da tempo, oggi noi siamo difronte a quella che possiamo definire la “corruzione organizzata”, che ha mutuato molto dal modus operandi delle mafie».

Oggi bisogna intervenire su un’area grigia di politici, amministratori pubblici e imprenditori capaci di creare fitte ragnatele di interessi e relazioni, dove la mafia si insinua. Si crea così il «marchingegno» descritto dal pentito Nino Giuffrè, che pone al mondo civile e istituzionale un nuovo obiettivo: romperlo.

Ma come? Il Dottor Prestipino non ha dubbi, «bisogna far funzionare le regole dello Stato e puntare sui ragazzi che vivono in un ambiente mafioso. Quando ero in Calabria – racconta – ho trovato delle cose che erano contemporaneamente sconvolgenti e straordinarie. Esistono scuole dove ci sono insieme ragazzi che appartengono a famiglie contrapposte, segnate faide sanguinose che durano da decenni. Ragazzi che non si possono parlare tra di loro. C’è il figlio di chi ha ucciso con il figlio di chi è stato ucciso. E’ lì che bisogna inoculare il germe della cultura, della tolleranza. Bisogna spiegare che c’è un altro mondo. Bisogna spiegare che quel mondo non è escluso alle loro possibilità».

 

Articolo a cura di: Mirco Sirignano, Elena Popovici, Federica Mazzei

Allievi V edizione Master APC