Giovedì 2 luglio presso la tavola rotonda del nostro master la protagonista è stata una comunicazione non solo di parole, contenuti, persone…ma fatta anche di immagini, musiche, paesaggi che ci hanno proiettato nel cuore della realtà mafiosa.
L’idea di guardare insieme il film “Anime nere” è stata del prof. Gambetta che ci ha piacevolmente sorpreso venendoci a trovare: nella prima parte della lezione, dopo una breve introduzione, ha lasciato spazio alle nostre domande, riportate con entusiasmo dal nostro direttore, il professor Alberto Vannucci. Dopo il nostro tradizionale coffee break, abbiamo tutti insieme visto “Anime nere”, che il professore considera “il migliore film sulle mafie come sono oggi”, dopo una tale affermazione tutti eravamo curiosi del film e così il nostro tutor, Marco Antonelli, si è messo all’opera e la proiezione è partita!
Già dalla prima scena mi son detta “Ma questo io già l’ho visto…”, e dopo due minuti avevo realizzato che io quel film già lo avevo visto, solo non sapevo si chiamasse “Anime nere”, ma proprio il rivederlo per la seconda volta e a seguito delle numerose lezioni del master APC, mi ha reso possibile accompagnare le scene a pensieri, meno emozionali e più analitici, che vorrei qui riportare.
Nella prima scena del film siamo fuori dall’Italia: si parla spagnolo e si parla di traffico di droga, da una parte c’è il boss locale, dall’altra ci sono gli uomini della ‘ndrangheta, il loro capo (Luigi, uno dei tre fratelli protagonisti del film) parla spagnolo e porta avanti le trattative, seguendo i consigli del suo braccio destro, che invece parla in dialetto. L’incontro è breve e dai toni abbastanza severi: entrambe le parti non vogliono perdere il loro profitto e non vogliono cedere troppo a patti, riescono così a trovare un accordo sul trasporto della droga perché evidentemente conviene ad entrambi. Il profitto è ciò che muove la mafia (insieme alla conquista del controllo del territorio).
Poi la scena si sposta in Italia, al nord, qui troviamo il secondo fratello, Rocco, che con i suoi occhiali fa quadrare tutti i conti ed è il responsabile degli affari della famiglia: lo troviamo che riscuote dei soldi, con quegli stessi soldi, nella scena successiva, paga in nero gli operai di un cantiere, da notare che nessun operaio è italiano.
Nella scena successiva emergono i primi segnali della violenza come normalità nell’ambito mafioso: Rocco, Luigi e altri due uomini sono in macchina e decidono di fermarsi in una fattoria deserta, nello scendere dalla macchina portano con loro un cric: sgozzano una pecora, la tosano, dopo averla appesa a testa in giù la tagliano e la portano per cena, con altri mafiosi del posto.
La macchina da presa si sposta tra le campagne calabresi: qui conosciamo il terzo fratello, Luciano, il più grande; è un pastore e cura il suo gregge; è stridente il confronto sul come le capre vengono trattate: nella scena precedente i due fratelli non hanno avuto alcuna esitazione nello sgozzarne una, qui Luciano cerca di curarne una per non farla morire!
Qui in Calabria troviamo anche Leo, il figlio di Luciano: il ragazzo ha organizzato di sua iniziativa, spalleggiato da un amico, un assalto notturno in un bar; i due ragazzi arrivano davanti al bar e sparano sui vetri, poi scappano via in macchina. Quando gli zii trapiantati al nord rimprovereranno il nipote per questo gesto, lui si difenderà dicendo che quella famiglia aveva preso in giro la loro e quindi meritava una lezione: Leo voleva dunque difendere la reputazione dei suoi sul territorio.
Quando il ragazzo torna a casa, dopo la sparatoria, prima si reca in cantina per liberarsi di tutti gli indumenti, poi sale in casa e subito il padre gli chiede cosa avesse fatto, lui lo rassicura seccamente che va tutto bene e che stava per partire per Milano per andare dallo zio Luigi che era tornato.
A Milano Leo si sente a casa, dice ai suoi zii che è stanco di vivere “laggiù”, eppure lo zio Rocco mentre aiuta la moglie a cucinare affetta del peperoncino, tipico di “laggiù”: le origini sono sempre presenti dentro tutti i membri della famiglia e mai rinnegate.
Un altro importante aspetto è quello del ruolo delle donne: la moglie di Rocco sa che suo marito lavora nel mondo degli affari, ma di certo non immagini che siano affari mafiosi, viene esclusa e le si chiede spesso di star zitta; Luciano, invece, non nasconde niente alla moglie: quando arrivano due loschi tipi nella sua serra non chiede chi siano, ma cosa vogliano.
L’intera famiglia si ritrova una domenica a pranzo nella campagna calabrese, proprio in questa occasione viene invitata anche un’altra famiglia mafiosa del luogo e si fanno conoscere tra loro i rispettivi giovani nipoti: Leo e la nipote dell’altro boss. Quella domenica è un continuo di risa, buoni piatti e balli, solo Luciano continua a rimanere isolato e cupo, e avverte suo fratello Luigi di non fare troppi passi avanti e di guardarsi sempre alle spalle, e aveva ragione. Quella stessa sera Luigi si ritrova a passeggiare nel suo paese, eppure appare timoroso mentre cammina verso la macchina. All’improvviso sente una presenza alle spalle, sia Luigi che il pubblico pensano sia finita, invece è un vecchietto che nell’avvicinarsi gli chiede un banale favore e Luigi risponde prontamente che provvederà: il controllo del territorio è un altro pilastro fondamentale per le mafie; Luigi però quel controllo lo aveva perso: subito dopo gli sparano in viso.
A questo punto tutta la famiglia prova dolore, ma le donne piangono, gli uomini “tengono la schiena dritta” e vanno avanti, non vogliono subito vendicare il loro fratello e fare altre stragi. Ma Leo precede tutti e organizza l’attentato con un suo amico, il suo amico però non ha quel dna e lo abbandona, Leo viene ucciso prima di vendicare lo zio. Nicola nel vedere il corpo del figlio morto è disperato: si isola nella casa di campagna e brucia tutte le foto della sua famiglia, quella foto del padre, anche lui mafioso ucciso dalla mafia. Poi esce da casa e va dritto dal fratello Rocco, senza esitare tira fuori la pistola e lo uccide, e infine si uccide: ecco il triste epilogo della famiglia.
Alla fine della proiezione ci chiediamo: ma davvero l’unica soluzione possibile è questa? La battaglia è lunga e difficile ma investe il quotidiano: quello che mi è rimasto più impresso nella mente è il ragazzo, Leo, se avesse voltato lo sguardo verso il padre, umile e onesto, sarebbe ancora vivo; evidentemente la società ci porta sempre ad andare “dove girano più soldi”, così il ragazzo è morto pur di identificarsi nello schieramento del guadagno facile e del potere.
Federica Proietti, allieva V edizione Master APC